Big Bang metafisico. “La rana e lo scorpione” di Rocco Ronchi non teme il confronto con il reale antecedente il logos


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il libro
L'autore non ha paura di scottarsi e, per aiutare il lettore, indossa i guanti delle favole per mettere in discussione il pensiero occidentale ortodosso che pone il niente a fondamento del possibile e l'io viene collocato in questo vuoto
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Il pensiero occidentale è prigioniero di dicotomie sterili nelle quali non c’è spazio per la nostra esistenza. Ci sentiamo estranei a casa nostra, per dirla con Freud. Come ci siamo cacciati in questo pasticcio? Albert Einstein ammoniva che per andare avanti è necessario mettere in discussione le premesse. E’ la sfida che il filosofo Rocco Ronchi affronta nelle pagine della sua ultima impresa, La rana e lo scorpione. Il canone della potenza (Castelvecchi, 2025). Prendendo le mosse dalla favola di Esopo (resa celebre da Orson Welles), si parla della potenza alla radice tanto della natura quanto di noi stessi che il pensiero occidentale avrebbe dimenticato, quando non esplicitamente negato. Non è un caso che il libro, che sale ad altezze rare nella letteratura filosofica odierna, utilizzi il mito per raggiungere lo scopo primo della filosofia: ricominciare sempre daccapo; sentiero impervio che molti autori evitano per non correre rischi (condannandosi a non dire mai nulla). Ronchi non ha paura e si avventura lungo quella linea carsica che lui stesso, in opere precedenti, ha definito Canone minore per distinguerla dall’ortodossia filosofica e politica (il Canone maggiore, appunto).
Questa linea minore – che però si è espressa in Scoto Eriugena, Spinoza, Hegel, Deleuze, Bergson, Whitehead, Gentile – dà voce a quel fondo mostruoso (in un senso che spiego subito) che non è ancora de-finito perché in-finito e quindi fonte di ogni forma. Ronchi insegue l’accadere puro, l’atto-in-atto, la lava incandescente del reale. “Mostruoso” significa, come in Kant e Lacan, ciò che rompe l’ordine del conosciuto e del pensabile, obbligandoci a ripensare i nostri concetti di natura, norma e razionalità; non perché contro la ragione, ma perché prima. Ronchi non ha paura di scottarsi e, per aiutare il lettore, indossa i guanti delle favole come nel caso squisito della fiaba di Gianni Rodari, L’omino di niente, cooptata per mettere in discussione il pensiero occidentale ortodosso che pone, appunto, il niente a fondamento del possibile. E l’io, luogo della nostra esistenza e dell’interiorità, viene collocato in questo vuoto. Al contrario, per Ronchi, la radice di tutto è la potenza, ben rappresentata dallo scorpione, fondo mostruoso e incomprimibile della natura. Allo scorpione si contrappone la rana che incarna la razionalità, la parola (il logos), che la scienza prende per norma invincibile e che viene sconfitta non essendo altro che una pausa tra potenza e atto; una pausa senza dimensione e senza sostanza dove la metafisica implicita della scienza vorrebbe rinchiuderci. Lo scorpione colpisce a morte la rana.
Contro questo omino di niente alla base del pensiero occidentale, Ronchi recupera l’equazione megarica physis:dynamis:energheia, ovvero la trinità eternamente in movimento di natura:potenza:atto. Qui Ronchi è costretto a inventarsi una sua notazione per evitare la staticità del segno “uguale” e la separazione di una virgola. Evviva i due punti allora! Laddove per il senso comune, noi e il mondo siamo fatti di componenti separati legati insieme da relazioni esteriori, la trinità dinamica di natura, potenza e atto non è mai scomponibile: è un individuo (parola che significa “non divisibile”). Ogni cosa è quello che è solo nel momento in cui si attua la sua natura. La chiave è chiave solo quando apre la serratura. L’eroe è eroe solo quando agisce da eroe. Essere è agire. Non c’è spazio o esitazione tra ciò che si è, ciò che si può e ciò che accade. Il riferimento obbligato va ai megarici, corrente filosofica quasi dimenticata su cui Platone e Aristotele operarono una damnatio memoriae, di cui è rimasta solo un’ombra distorta nei grandi avversari di Socrate, i filosofi eleatici.
Come nel Big Bang cosmologico anche nella metafisica si fa un gioco di vertiginosi passi indietro: prima della ragione si trova la volontà, prima del linguaggio la natura, prima dell’io la persona, e prima di questa la potenza mostruosa del reale che è tutto! Al fondo si trova un fondamento intransitivo personale ma non soggettivo, anonimo ma non oggettivo. In pagine indiscutibilmente impegnative per chi non ne possiede la giusta chiave di lettura, La rana e lo scorpione di Ronchi rivela quel momento primigenio dove necessità e contingenza non sono ancora scisse; dove la natura naturante, declinabile in potenza e atto, proietta quelle ombre che l’ortodossia chiama necessità e possibilità, verità e realtà, soggetto e oggetto. L’obiettivo è tornare alla luce accecante dell’atto puro.
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